Chiesa di Santa Caterina in Pisa – 10 aprile 2021
“Abbiamo visto il Signore!”: è la testimonianza che gli apostoli presenti nel Cenacolo la sera di Pasqua offrono a Tommaso il quale “non era con loro quando venne Gesù”. Conosciamo la risposta di Tommaso: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”.
Anche noi, questa sera, siamo di nuovo nel Cenacolo; anche noi facciamo memoria del Signore risorto; anche noi abbiamo sempre di nuovo bisogno di scambiarci reciprocamente la nostra testimonianza circa la risurrezione di Gesù. In modo tutto particolare, se l’intera comunità della Chiesa pisana da’ a te, Lorenzo, testimonianza della propria fede, anche tu, offri a tutti noi la testimonianza viva della tua esperienza di incontro con Gesù. Anche tu, con la tua richiesta di ricevere il dono sacramentale del diaconato dici a tutti noi: “Ho visto il Signore!”.
Per il cristiano, ogni vocazione è l’affermazione di una particolare esperienza di incontro con Gesù. Guai, se non fosse così! E’ esperienza della conoscenza diretta del Cristo sposo che si dona alla Chiesa sua sposa, la vocazione al matrimonio; è testimonianza di avere visto Gesù e di essersi innamorati di Lui, offrendo a Lui la propria esistenza nella verginità, nella povertà e nell’obbedienza, la vita consacrata nella professione dei voti evangelici; è testimonianza di una relazione d’amore con Gesù, incontrato personalmente, conosciuto nella intimità del proprio cuore e della propria coscienza e imitato nelle scelte quotidiane di vita per il servizio a Dio e ai fratelli, la donazione a lui nella sequela che si compie nell’ordine sacro.
E’ mai possibile, oggi, in una cultura che valuta tutto in termini di profitto, di successo e di apparenza, che un giovane abbandoni tutto questo e lo ritenga “spazzatura” come dice San Paolo, per seguire Gesù che gli presenta una vita fatta di donazione gratuita, di umile servizio e di ricerca di ciò che conta davvero, ma è ritenuto da molti come inutile impaccio che impedisce di godere più che si può?
Questa sera l’ordinazione diaconale di Lorenzo dice che è possibile, e che si può; che c’è uno stile di vita secondo il Vangelo che non ci priva per nulla di ciò che è bello e buono, e che anzi, permette di realizzare pienamente se stessi con parametri, a volte diametralmente opposti a quelli del mondo. E’ possibile, alla condizione che davvero “abbiamo visto il Signore!”.
“Vedere il Signore”, non è primariamente il frutto di una specie di “scalata” del cielo, risultato della nostra intelligenza o delle nostre capacità umane. “Dio infatti si fa trovare da quelli che non lo mettono alla prova, e si manifesta a quelli che non diffidano di lui.” Dice il libro della Sapienza che aggiunge: “ I ragionamenti distorti separano da Dio, e la potenza, messa alla prova, spiazza gli stolti” (Sap. 1,2). “Vedere il Signore” è sicuramente il risultato di una ricerca che non si stanca di andare all’essenziale, che non si arresta alla prima difficoltà, che non si tira indietro quando ci si rende conto che l’appello del Signore che risuona nel cuore, non si contenta del minimo, bensì che continua ad inquietarci finché non abbiamo messo a nudo tutto ciò che il Signore, come dono straordinario, ha messo nel profondo del nostro essere.
Credo di poter dire che tutto questo Lorenzo lo ha vissuto nel suo cammino di risposta vocazionale e che a questo punto può affermare in tutta verità di aver visto e incontrato il Signore Gesù e di avere la piena consapevolezza del progetto d’amore che Egli ha pensato da sempre per lui e che quest’oggi si realizza, come prima tappa sacramentale, nella sua ordinazione diaconale.
Il dono del diaconato è una prima tappa, ma nello stesso tempo è anche una definitiva consacrazione che si compie nella configurazione a Cristo servo del Padre e degli uomini fratelli. Diventando diacono, caro Lorenzo, tu diventi “servo”. E’ paradossale quanto ci rivela la nostra fede. Chi vuol crescere, deve diminuire. Chi vuol primeggiare, deve mettersi all’ultimo posto; chi vuole avere risonanza e successo, deve essere noto a Dio e ignoto al mondo. Proprio come Gesù.
Abbiamo appena celebrato il Giovedì Santo. San Luca, nel suo vangelo, ambienta nella sera dell’Ultima Cena un episodio che ci fa pensare e che non dobbiamo mai dimenticare. Proprio in quella sera in cui si compiva il dono d’amore del Signore per noi, fra gli apostoli sorse una discussione “chi di loro fosse da considerare più grande”. L’intervento di Gesù è di una forza travolgente: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve!”(Lc 22,24-27).
Alle parole di Luca fa eco il vangelo di Giovanni che mostra Gesù, mentre cinto di un asciugamano, lava i piedi degli apostoli. Compiuto questo gesto che era proprio dei servi e degli schiavi, Gesù vuole che tutti abbiano ben chiaro il senso di quanto aveva fatto: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. (…) Sapendo queste cose siete beati se le mettete in pratica”(Gv 13,12-15.17).
Caro Lorenzo, ancora una volta, dobbiamo ripeterci gli uni agli altri che solo se abbiamo visto il Signore e lo riconosciamo presente nelle persone delle quali siamo chiamati a diventare servitori, è possibile che ci umiliamo fino a lavare loro i piedi.
Si tratta di una presenza, quella di Gesù, che non si afferma in maniera prepotente. E’ una presenza discreta, la cui immagine, spesso è sfigurata dalle prove e dai problemi della vita; è una presenza che spesso è capace di urtare la nostra sensibilità, perché non ha alcuna “bellezza” da presentarci; è una presenza-assenza, potremmo dire, che tanto più grida il mistero dell’amore di Dio, quanto più questo appare conculcato o vilipeso.
E’ una presenza che chiede una risposta di fede e di amore, nella consapevolezza che comunque, sempre, l’amore di Dio ci è venuto incontro per primo. “In questo conosciamo di amare i figli di Dio, quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi”. L’amore, lo sappiamo, viene da Dio, perché Dio è Amore. Se noi amiamo è perché abbiamo ricevuto il dono dello Spirito Santo, “Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità”.
Amore e verità che dobbiamo coltivare e riconoscere non solo a livello intellettuale, bensì soprattutto nella concretezza della vita di tutti i giorni, e in modo speciale nella vita della Chiesa.
Il testo degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato come prima lettura, ci riporta alla vita della comunità cristiana primitiva. Non si tratta di una realtà idilliaca, dove tutto funzionava alla perfezione, bensì di una comunità nella quale, nonostante i tanti limiti e le tante fragilità che il libro degli Atti non nasconde, “la moltitudine dei credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”.
In questa comunità un riferimento fondamentale era quello del servizio degli apostoli. Ancora non erano stati istituiti i “sette” primi diaconi, perché erano gli apostoli stessi a compiere tutti quei servizi che si rendevano necessari non solo per il buon funzionamento della vita comunitaria, ma proprio perché risaltasse chiaro lo stile che Gesù voleva dai suoi discepoli, quello della gratuità e del dono di sé. E’ interessante notare che Luca mette in stretta relazione la “testimonianza della risurrezione di Gesù che gli apostoli davano con grande forza” con il fatto che “nessuno tra di loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli, poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno”.
Non si tratta solo di un accostamento letterario, bensì della manifestazione di una relazione necessaria tra annuncio di fede, vita di carità e azione liturgica; tra l’incontro con Gesù nella fede creduta e sperimentata nei segni sacri della liturgia e la fede vissuta nell’esercizio della carità. In ogni caso si tratta sempre dello stesso mistero di salvezza di cui l’ordine del diaconato ci rende servitori. Si tratta dello stile di un servizio nella comunità ecclesiale e ad ogni fratello e sorella nel mondo a nome della Chiesa, di cui tu, oggi, in Cristo Servo, vieni costituito servitore.
Caro Lorenzo, accogli con gioia questo dono straordinariamente prezioso e anche se qualche volta sembrerà pesante, ricordati di Gesù che ripete a te, come a tutti noi: “Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi!”.
