di M.L. Ceccarelli Lemut – S. Sodi
1. Le origini
L’origine della Chiesa pisana, al pari di altre Chiese locali, si confonde con antiche tradizioni agiografiche, nate per lo più in periodo medievale. Riguardano Pisa due tradizioni, che rimandano all’età apostolica.
La prima si riferisce a S. Pietro che, proveniente dalla Siria, sarebbe sbarcato alle foci dell’Arno, presso il luogo attualmente denominato S. Piero a Grado, intorno agli anni 42-44, prima tappa del suo itinerario verso Roma. La narrazione, almeno nella forma attuale, non può essere anteriore ai secoli VIII-IX. Una testimonianza molto più antica è offerta dagli scavi archeologici condotti nella basilica di S. Piero a Grado, che attestano l’esistenza e la persistenza nei secoli di un luogo di culto almeno dal IV secolo, finora la più antica testimonianza nel territorio pisano di edifici paleocristiani.
La seconda è quella relativa al martirio di Torpete (o Torpè), un soldato dell’«officium Neronis», narrato da una Passio, composta da un estensore di area pisana nel VI o all’inizio del VII secolo. La testa del martire rimase a Pisa, mentre il corpo fu abbandonato su una barca, che approdò, secondo la Passio, in Spagna.
Entrambe le tradizioni testimoniano il forte vincolo con la Chiesa di Roma e pongono l’accento sulle relazioni marittime, pur non fornendo notizie attendibili sull’epoca della cristianizzazione del nostro territorio.
La prima testimonianza storica indiscutibile è la presenza del vescovo pisano Gaudentius alla sinodo romana del 2 ottobre del 313, celebrata sotto la guida del papa Melchiade.
2. Il territorio diocesano
Se inizialmente il fenomeno dello sviluppo della nuova religione rimase un fatto circoscritto ai perimetri urbani ed alle loro immediate adiacenze, ben presto esso si estese ai territori di loro pertinenza. Le circoscrizioni ecclesiastiche vennero allora generalmente a sovrapporsi a quelle civili. Lo stato attuale delle ricerche sulla nostra diocesi ci consente d’ipotizzare la seguente ricostruzione. Il confine settentrionale col territorio lunense si trovava nella zona costiera al di là del fiume Versilia, probabilmente al bacino dell’antico lago di Porta. Di qui esso proseguiva verso il crinale apuano. Ad Est il confine col territorio lucchese era costituito dapprima da tale crinale, poi da quello del Monte Pisano, e dopo aver lambito il padule di Bientina, sino a raggiungere l’Arno all’altezza di Pontedera. A Sud del fiume, il confine con Volterra proseguiva lungo il fiume Era, almeno fino all’altezza di Capànnoli. Dalla Valdera, forse attraverso il botro Fine di Rivalto, la linea confinaria raggiungeva le colline retrostanti Chianni e proseguiva verso il fiume Fine. Tale corso d’acqua, il cui idronimo conserva chiaramente la sua funzione di ‘frontiera’, segnava lungo la costa il confine meridionale con Volterra. Il limite occidentale era naturalmente costituito dal Mar Tirreno.
Una ridefinizione dei confini diocesani intervenne quando i Longobardi, affacciatisi sul territorio italiano a partire dal 569, intrapresero la conquista della Tuscia: allora Pisa venne direttamente coinvolta e vide il suo territorio drasticamente ridimensionato. Quando infatti il longobardo Gunmarit superò il limes bizantino sul versante tirrenico, conquistando il territorio lucchese e la Val d’Era e giungendo sino a Populonia (574-576), Pisa oppose fiera resistenza e rimase ancora per alcuni decenni indenne dall’invasione, pagando questa sua autonomia con l’amputazione di buona parte del suo retroterra a favore del ducato di Lucca. La nuova geografia diocesana vide allora un forte ridimensionamento territoriale nei settori settentrionale e orientale, ed un parziale ampliamento a Sud. Il confine settentrionale venne costituito da una linea retta che congiungeva il litorale alle pendici delle Apuane, passando tra Bozzano –pisano– e Massarosa –lucchese– fino al vertice del territorio di Chiatri, ricongiungendosi poi al primitivo confine sotto le pendici del monte Ghilardone. Ad Est il confine, subito dopo la confluenza dell’Era nell’Arno, ebbe un repentino rientro verso Ovest, lasciando a Lucca l’area collinare tra il fiume Era e il bacino della Tora. Da Lorenzana la linea confinaria proseguiva attraverso la zona montuosa che divide il bacino della Tora da quello dei fiumi Era e Cascina. A Sud passò sotto la diocesi pisana il lembo di terra tra i fiumi Fine e Cecina, fino ad allora volterrano.
La dimensione territoriale diocesana non subì ulteriori modifiche fino all’età contemporanea, allorché il 18 luglio 1789 il papa Pio VI, nell’intento di uniformare le circoscrizioni ecclesiastiche a quelle civili, attribuì alla diocesi di Lucca il pievanato di Massaciuccoli e a quella pisana il piviere di Ripafratta e il territorio granducale del vicariato di Barga. A questi lo stesso papa il 18 settembre 1798 aggiunse il pievanato di Pietrasanta dalla diocesi lucchese e quelli di Seravezza, Stazzema e Vallecchia dalla diocesi di Pontremoli. Pochi anni dopo la nostra diocesi subì un forte ridimensionamento per la costituzione della nuova diocesi di Livorno, voluta dalla reggente Maria Luisa di Borbone e decretata il 25 settembre 1806 dal papa Pio VII con la bolla «Militantis Ecclesiae». La nuova diocesi fu modellata sul territorio civile del capitanato nuovo di Livorno e comprese ventotto parrocchie, tutte provenienti dalla diocesi pisana.
3. La metropoli ecclesiastica
Nell’ultimo quarto dell’XI secolo, la diocesi pisana assunse un ruolo di primaria importanza nella politica pontificia. Per tale motivo, alla fine dell’estate del 1077, il papa Gregorio VII incaricò il vescovo di Pisa Landolfo della legazia papale nell’isola di Corsica. Un quindicennio più tardi, il 21 aprile 1092, il pontefice Urbano II sottopose i vescovadi corsi alla nuova metropoli di Pisa, il cui vescovo Daiberto assumeva così il titolo di arcivescovo. Daiberto ottenne successivamente anche la legazia papale sulla Sardegna. Tali privilegi, in particolare dopo la conferma del papa Gelasio II del 1118, provocarono una dura reazione da parte dei Genovesi, suscitando una lunga lotta armata fra le due città finché il papa Innocenzo II promosse la pace di Grosseto del 20 marzo 1133. Genova vide riconosciute le sue pretese, ottenendo l’elevazione del proprio vescovado ad arcivescovado, cui vennero sottoposte tre diocesi corse e quelle continentali di Bobbio e Brugnato. A Pisa, secondo la bolla del 22 aprile 1138, rimasero gli altri tre vescovadi dell’isola (Aleria, Ajaccio e Sagona) e vennero concessi i diritti metropolitici sulle diocesi di Galtellì e di Civita in Sardegna e di Massa Marittima in Toscana, la primazia sulla provincia metropolitica di Torres in Sardegna e venne confermata la legazia in quest’ultima isola. Successivamente, nel 1176, il pontefice Alessandro III estese la primazia dell’arcivescovo di Pisa sulle arcidiocesi di Cagliari e di Arborea.