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Insieme a Gesù, sulla strada della Salvezza – Natale 2022

Ancora una volta, nella celebrazione del Natale di Gesù risuonano le parole della «moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 1,13-14). Luca parla della «moltitudine dell’esercito celeste»: si tratta di un esercito speciale: non ci sono armi, cannoni e missili, bensì lodi e inni rivolti all’Altissimo e l’annuncio di pace per gli «uomini che egli ama». Una scena ben diversa da quella che da dieci mesi in Ucraina semina distruzione e morte, lacrime e sangue, odio e rancore. Una scena alla quale tutti, insensibilmente, ma progressivamente, rischiamo di abituarci, come ci siamo abituati a uguali scene di distruzione e di follia omicida in innumerevoli altre parti del mondo. Viene da domandarci: è possibile che il cuore dell’uomo si indurisca a tal punto da non meravigliarci ormai più di tanto del sangue che gronda sulle mani omicide del Caino di turno? Non potrebbe essere che anche in noi stessi trovi spazio l’indifferenza con cui Caino rispose alla domanda postagli da Dio: «Dov’è Abele, tuo fratello?». La risposta è nota: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). È facile tirarsi fuori da responsabilità che certamente vanno ben oltre l’orizzonte della nostra vita di ogni giorno, ma non è possibile far finta di non capire che anche le grandi tragedie internazionali hanno sempre la loro «culla» nel cuore di ciascuno, quando diamo spazio a sentimenti e pensieri di inimicizia e non ci lasciamo raggiungere dall’amore di Dio che è sempre per tutti, nessuno escluso. Dio non ama solo i buoni, tra i quali siamo pronti ad annoverare noi stessi; anzi, Gesù rivela la sua presenza proprio in chi è scartato dalla logica del mondo, in quelli che piangono, che hanno fame, sete e si trovano nell’abbandono della sofferenza. Infatti tutto ciò che di piccolo o di grande possiamo fare per queste persone, anche se chi opera il bene, non se ne rende conto, è sempre rivolto al Signore, il quale non dimentica e non trascura nemmeno «un bicchiere di acqua fresca» dato nel suo nome. In altre parole, ciascuno, nel suo piccolo può fare qualcosa; ognuno nonostante i suoi limiti e le sue fragilità, può contribuire al bene altrui quando apre il cuore e la propria vita alla accoglienza del prossimo. Il poco di ciascuno donato per amore, diventa, per la grazia di Dio, il tanto di cui hanno bisogno le moltitudini dei sofferenti. Ognuno è custode di suo fratello; e nessuno può dimenticare che ogni altra persona è sempre, come lui, figlio dello stesso Padre che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Questo è lo stile della vita cristiana, e questo è il senso del Natale che festeggiamo anche in questo tempo in cui la violenza sembra volere fare da padrona nei rapporti interpersonali, familiari, sociali e internazionali. Nel desiderio che la pace vinca ogni guerra e che l’amore superi ogni odio, non dobbiamo neppure dimenticare che in ogni contesto di vita ci può essere sempre un Erode di turno. Di solito nei presepi non si dimentica di mettere, magari in lontananza, in cima ad una montagna o in una zona impervia, il castello di Erode. Il castello è sempre una fortezza, un luogo munito di strumenti di difesa e di offesa, dove non è agevole entrare ed essere accolti. Si tratta di un luogo evocativo che però non si identifica solo con la persona di un folle sanguinario, qualunque sia il suo nome, bensì è luogo misterioso, che non di rado trova cittadinanza anche in noi. Una cittadinanza che di solito viene munita di lasciapassare, quasi che potesse esistere una «violenza legale», cioè consentita dal Diritto e asseverata da lunghe e inveterate consuetudini. La violenza è sempre male e il male è sempre generatore di male ulteriore, perché il male si vince solo con il bene (cfr. Rom 12,21); ogni altra modalità apre sempre la strada a ritorsioni a non finire e quindi ad altre sofferenze e lacrime. Il Natale di Gesù ci indica in maniera inequivocabile la strada da seguire. L’esempio donatoci dal Figlio di Dio che per amore nostro si è incarnato per accompagnarci sulla strada della salvezza, ci invita all’amore nel dono di noi stessi. È un invito pressante: accoglierlo non è mai un perdere qualcosa, bensì è guadagnare quella pienezza di vita che non è solo per qualcuno, bensì per tutti. Perché tutti sono, siamo, amati da Dio con amore infinito e per tutti Dio vuole la gioiosa esperienza della sua pace. Il mio augurio cordiale è che ciascuno di noi, di voi, sappia accogliere questo dono che gli angeli hanno proclamato a Betlemme.