(Sir 4, 1-9; Sal 111; 1Gv 4, 7-16; Mt 19, 16-21)
Cattedrale di Pisa – 17 giugno 2025
Nella preghiera colletta che ha introdotto questa liturgia ho detto, a nome di tutta l’assemblea, che Dio ci ha dato in san Ranieri «un fulgido esempio di penitenza e di preghiera». Non c’è dubbio che nella vita del nostro santo patrono si siano manifestati con particolare evidenza questi carismi: Ranieri è stato un uomo penitente e orante. Ma ciò che mi pare essenziale, per comprendere il messaggio che Dio ha voluto trasmetterci mediante l’esempio di san Ranieri, è collocare la sua vita di penitenza e di preghiera tra l’origine da cui proviene e il fine a cui è destinata.
All’origine, alla radice c’è una manifestazione dello Spirito, che ha portato Ranieri a conoscere – come dice san Paolo nella Lettera agli Efesini (3,19) – «l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza». Non possiamo comprendere ciò che Ranieri è stato, come del resto nessun altro santo, se non consideriamo che ciò che in lui è avvenuto è un evento dello Spirito, che ha fatto di un’esistenza ordinaria un cammino di santità, di crescita umana e spirituale, che riceve dalla pienezza di Gesù Cristo «grazia su grazia» (Gv 1,16). Se Ranieri è riuscito a fare ciò che il giovane ricco dell’episodio evangelico che abbiamo ascoltato (Mt 19,16-21) non ha fatto (almeno immediatamente), non è perché era più virtuoso o più ascetico, ma perché aveva già conosciuto il «tesoro nei cieli» di cui parla Gesù. E sapete qual è questo tesoro nei cieli? Siamo noi stessi, in quanto amati da Dio, «perché – come dice Isaia – tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo» (Is 43,4). Ranieri ha capito che ciò che aveva davvero valore non erano le ricchezze della sua famiglia, della sua città o quelle che lui stesso poteva procurarsi andando a commerciare in Oriente. La vera ricchezza era la sua stessa vita, non quella biologica, ma la vita di comunione con Dio, una vita in cui non ci si trova per nascita o per collocazione sociale, ma in cui si sceglie di entrare per amore. Come dice Gesù al ricco del vangelo: «Se vuoi entrare nella vita».
Ranieri è stato un uomo del XII secolo, vissuto in una città all’apogeo della sua potenza, centro di un impero economico e commerciale, con un temibile potenziale bellico. Ranieri appartiene a questo mondo e a questo periodo storico, ma non si identifica con esso. A un certo punto della sua esistenza entra in crisi, sperimenta cioè un conflitto tra l’esteriorità e l’interiorità, tra le richieste e le aspettative del mondo che lo circonda e il desiderio del suo cuore. E sceglie di essere libero. Proprio per questo in lui e per mezzo di lui può nascere qualcosa di nuovo, che non passa come le glorie della storia civile e militare, ma è semplicemente umanità nuova, a cui ancora oggi possiamo attingere. Noi, infatti, nel celebrarlo come patrono della nostra Chiesa, non facciamo un’opera di rievocazione storica, ma ci riconosciamo in lui, nelle sue scelte, nel suo desiderio di libertà dai condizionamenti del mondo e nella sua docilità alla guida dello Spirito.
Ranieri ha trasformato il viaggio in Terra Santa da viaggio di affari in pellegrinaggio, da ricerca di guadagni materiali in ricerca di una comunione sempre più intima, sempre più intensa con il Signore Gesù, con la sua umanità. Ripercorre non solo i luoghi geografici, ma i misteri della vita di Gesù, di cui quei luoghi serbano la memoria: dalla nascita alle tentazione nel deserto alla Trasfigurazione fino al mistero supremo della morte e risurrezione. È lì, accanto al Santo Sepolcro che Ranieri prende dimora e vi rimane per anni, addentrandosi sempre più nel mistero della nostra salvezza.
Perché lo fa? O meglio perché lo Spirito lo spinge a questa statio davanti alla tomba di Gesù, che ricorda ciò che il vangelo di Giovanni ci dice di Maria di Magdala: «Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva» (Gv 20,11)? Anche Ranieri sta accanto al sepolcro e piange. Non piange per l’assenza fisica del Signore. Piange per l’assenza della Chiesa, che si è smarrita nel mondo e ha dimenticato il grembo da cui è nata. Vi rimane sette lunghi anni fino a quando ode la voce di Dio che gli dice: «Ecce, pro populo meo christiano satisfacesti». Ranieri ha portato il peso del peccato del suo popolo e così, nel nascondimento della preghiera e della penitenza, lo ha ricondotto alla verità e alla radicalità del vangelo. Ecco l’altra sponda entro cui va collocata l’esperienza di Ranieri: la missione a cui è destinata. Ciò che Ranieri ha vissuto non lo ha vissuto solo per sé, ma per la Chiesa, che il Signore, nel suo disegno imperscrutabile, gli ha affidato. Per questo è del tutto logico che Pisa abbia riconosciuto in Ranieri il suo patrono. Il senso di fede del popolo di Dio ha compreso che quell’uomo umile e povero, con una storia del tutto simile a quella degli altri pisani, aveva ricevuto da Dio la missione di rievangelizzare la sua Chiesa. Per questo Ranieri ritorna a Pisa e dedica gli ultimi anni della sua esistenza terrena all’annuncio, alla condivisione di ciò che aveva sperimentato nella sua relazione intima con Gesù.
Cari fratelli e sorelle, sento come pastore di questa Chiesa il bisogno di accogliere l’invito che ci viene dal nostro patrono: invito ad ascoltare la voce dello Spirito che ci chiama alla libertà e alla verità del vangelo. Come sapete, sono appena tornato dalla Terra Santa. Sono stato al Santo Sepolcro e ho ritrovato su quella pietra fredda e vuota il calore dell’amore e la pienezza dell’abbandono di Gesù. Ma ho anche trovato cuori di uomini pieni di rancore, menti che hanno perso il senso dell’umanità, della dignità di ogni uomo e donna. Questa duplice esperienza mi mette salutarmente in crisi. Mi sento come il popolo di Dio, al quale il Signore dice: «Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita» (Dt 30,19). È il messaggio che questa festa di san Ranieri ci consegna: scegliamo la vita, entriamo nella vita, non cediamo alle forze che ci spingono a restare nelle tenebre e nell’ombra di morte. Seguiamo l’esempio del nostro patrono: dimoriamo con lui accanto al Signore morto e risorto, entriamo e restiamo nel mistero della sua vita nuova.