Vita Nova del 29 giugno 2025
di Andrea Bernardini
Il Cenacolo, il Santo Sepolcro, il sito archeologico della Flagellazione, il Mosaic centre, il Dominus Flevit, il Romitaggio e la Basilica del Getsemani a Gerusalemme. La Grotta di San Giuseppe e della Natività a Betlemme. Ma – soprattutto – molti incontri significativi, uno su tutti quelli con il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa o del custode della Terra Santa Francesco Patton. È l’esperienza che ha vissuto – con i suoi confratelli vescovi – nei giorni scorsi, padre Saverio Cannistrà, 66 anni, carmelitano, dall’11 maggio nuovo vescovo di Pisa. Un’esperienza con un epilogo drammatico, perché segnata dall’inizio del conflitto tra Israele e l’Iran, che, peraltro, ha reso più faticoso il rientro della delegazione toscana in Italia. Quella vissuta ad inizio giugno non è stato il primo pellegrinaggio in Terra Santa di padre Saverio «La prima volta – ricostruisce – andai in Terra Santa con i professi temporanei della mia Provincia religiosa quando ero formatore. Eravamo un bel gruppo di fratelli. Ci guidò con molta competenza ed entusiasmo don Benedetto Rossi, biblista e amico della comunità. Da allora la Terra Santa ha avuto un posto stabile nel mio cuore. Durante gli anni di servizio come Preposito Generale sono poi tornato molte volte, specialmente a Haifa, dove abbiamo la nostra comunità di Stella Maris, ma ho anche visitato più volte i monasteri delle carmelitane scalze, presenti a Haifa, Nazareth, Gerusalemme e Betlemme».
Con quali ricordi e sentimenti nel cuore è tornato a Pisa dopo l’ultimo pellegrinaggio?
Sono sentimenti misti. Posso dire che prevale il ricordo degli incontri con tante persone di buona volontà, religiosi e laici, impegnati nel seminare amore e speranza in quella terra. Persone che si prendono cura dell’altro ridandogli fiducia e dignità, ma anche persone impegnate nel valorizzare il patrimonio artistico o le attività di artigianato locale. Ma naturalmente sono incancellabili anche altri ricordi: la visione del muro di separazione tra Gerusalemme e Betlemme, il suono delle sirene di allarme, i visi scoraggiati di chi non riesce a scorgere un futuro in queste condizioni.
È stata la sua prima uscita tra i confratelli vescovi della Toscana
In questo senso il viaggio è stato utilissimo. Condividere la quotidianità e anche situazioni di difficoltà, di incertezza e un po’ di disagio aiuta a superare le barriere, le timidezze e le formalità. Se prima dell’ordinazione episcopale mi ero concentrato sulla teologia dell’episcopato, ora ho iniziato a conoscere i vescovi come fratelli e questo mi è di grande aiuto e conforto. Ci si sente uniti e solidali nel comune impegno di guidare le Chiese a noi affidate. Insomma, un’esperienza di collegialità molto incarnata.
Dove siete stati ospiti?
Il viaggio è stato organizzato dalla Custodia della Terra Santa. Pertanto, a Gerusalemme siamo stati ospitati a Casa Nova, la struttura recettiva dei francescani. Anche nell’imprevista deviazione a Amman in Giordania ci ha offerto supporto logistico la comunità francescana di Amman, come anche un prete della diocesi di Fiesole che da molti anni vive ad Amman, don Mario Cornioli, molto impegnato nell’aiutare i rifugiati iraqeni in Giordania.
Come vive, oggi, la comunità cattolica in Terra Santa?
Esistono ovviamente molte differenze tra i cristiani cattolici che vivono in Israele e quelli che vivono nei Territori della Palestina, che patiscono le conseguenze drammatiche del conflitto direttamente o indirettamente. Direi, comunque, che per tutti la situazione è diventata molto più difficile. Il clima che si respira è molto teso. Per un cristiano, cittadino israeliano, sicuramente non è facile conciliare fede, provenienza culturale e appartenenza allo Stato d’Israele. Mi domando quale di questi tre elementi prevalga e probabilmente ognuno ha trovato una sintesi diversa. Per questo suppongo che anche ritrovarsi uniti come comunità cristiana non sia scontato.
Come la Chiesa cattolica locale si pone nel conflitto tra Israele e i palestinesi?
Quando parliamo di Chiesa, dobbiamo precisare di chi stiamo parlando. Noi abbiamo incontrato soprattutto figure di pastori, a cominciare dal Patriarca di Gerusalemme e dal Custode di Terra Santa, o parroci e religiosi. Tutti loro sono impegnati nel ricucire relazioni che ogni giorno la violenza e la guerra lacerano. Per far questo è necessaria una maturità umana e spirituale che non possiamo dare per scontata. Molti, però, ci hanno detto che la Chiesa cattolica è la realtà a cui viene riconosciuta la maggiore capacità di mediazione tra le parti in conflitto.
Quale prospettive per i pellegrinaggi?
Desideravamo tornare in Italia con il messaggio rassicurante che si possono riprendere i pellegrinaggi senza rischi. Ciò che abbiamo vissuto, e ancor di più le notizie delle ultime ore ,ci hanno invece costretto a prendere atto di una realtà ancora estremamente instabile e precaria. Dobbiamo attendere con pazienza dei concreti segni di pacificazione.
Il pellegrinaggio in Terra Santa è servito anche per meglio entrare nella figura di san Ranieri, che proprio al Santo Sepolcro, il Venerdì Santo del 1138, si spogliò delle ricche vesti indossando una ruvida pilurica, dedicandosi, da quel momento, alla preghiera e alla meditazione sulla vita di Gesù, visitando i principali luoghi santi…
Sì, è vero. Sapendo che appena tornato a Pisa avrei celebrato la festa di san Ranieri, ho riflettuto sull’esperienza che può aver fatto il nostro Patrono in Terra Santa. Penso che il Signore lo abbia chiamato proprio lì a un cambio radicale di prospettiva. Mentre per i pisani suoi contemporanei andare in Oriente significava intraprendere lucrose attività commerciali, a Ranieri quei luoghi si sono mostrati con un altro volto. È come se il suo sguardo, liberato dalle passioni della cupidigia e dell’avidità, fosse riuscito a cogliere le tracce della presenza di Gesù, in particolare in alcuni luoghi: il deserto delle tentazioni, il monte della Trasfigurazione, il giardino della sepoltura e resurrezione. Luoghi che parlano di una lotta interiore vissuta dallo stesso Ranieri, della visione di un orizzonte di luce e di una morte a se stesso che fa rinascere a vita nuova.
Quando vi siete resi conto che era pericoloso restare a Gerusalemme?
Devo dire che, nonostante gli allarmi ricevuti alle 3 del mattino sui cellulari, noi siamo rimasti tranquilli e ignari del reale pericolo che correvamo. Come da programma siamo andati a celebrare la messa solenne nel Santo Sepolcro per la festa di sant’Antonio da Padova, patrono della Custodia. Solo all’uscita dalla basilica ci siamo imbattuti nei militari che ci hanno risvegliato bruscamente dal nostro candore dicendoci che dovevamo uscire immediatamente e che stavano per chiudere tutta la città vecchia. In quel momento è cominciata la corsa a fare i bagagli e a raggiungere la frontiera con la Giordania.
Da Israele alla Giordania. Con il problema di trovare un aereo per il viaggio di ritorno
Abbiamo vissuto un paio di giorni di grande incertezza. Ciascuno di noi aveva naturalmente un bel po’ di impegni in agenda, alcuni piuttosto importanti. Dobbiamo ringraziare le tante persone che ci hanno aiutato a trovare una via di uscita e anche a vivere questo tempo nel modo più sereno possibile. Indimenticabile l’escursione al Monte Nebo, il luogo dove secondo la tradizione biblica Mosè avrebbe contemplato la Terra promessa. È stato una magnifica quanto imprevista conclusione del nostro pellegrinaggio.
«Stiamo uniti nella preghiera» l’appello rivolto da padre Saverio Cannistrà, che, in una video intervista rilasciata al collega Simone Pitossi e pubblicata sui nostri social, ha raccontato di essere in aeroporto ad Amman, prossimo a prendere il volo per Milano. Da Milano, con un bus, a Firenze e da qui a Pisa, arrivato a notte fonda, giusto in tempo per entrare nel clima della festa del patrono e ricevere il «bentornato» dai pisani che lo hanno visto «affacciarsi» sui lungarni quando tutti erano già con il naso all’insù per l’imminente spettacolo pirotecnico a conclusione della Luminara.