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Omelia del Corpus Domini 2025

(Gen 14, 18-20; Sal 109 (110); 1Cor 11, 23-26; Lc 9, 11b-17)
Cattedrale di Pisa 22 giugno 2025

La solennità che oggi celebriamo ci invita a contemplare il mistero della presenza del Signore nella sua Chiesa con il suo Corpo e il suo Sangue. Questa festa, istituita nel XIII secolo, in un contesto culturale e spirituale ben diverso dal nostro, non ha però perso di attualità. Abbiamo bisogno di ritornare all’eucaristia per essere cristiani e per essere Chiesa. Se in Italia il 70-80% della popolazione continua a dichiararsi cattolico e poco più del 10% partecipa alla celebrazione eucaristica, vuol dire che abbiamo perso qualcosa di essenziale nella nostra coscienza di credenti, ossia qualcosa senza la quale cambia la stessa identità del cristiano.

Colpisce la maniera con cui Paolo nella seconda lettura introduce il racconto dell’istituzione dell’eucaristia: «Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11,23). È una formulazione molto simile a quella che Paolo usa nella stessa lettera ai Corinzi per parlare dell’annuncio centrale della nostra fede, quello della morte e risurrezione del Signore Gesù: « A voi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto» (1Cor 15,3). Paolo non sta parlando di una sua interpretazione teologica o di un insegnamento derivato dalla rivelazione: sta annunciando il puro vangelo, quello che egli ha ricevuto dallo stesso Signore e che è suo compito trasmettere ai fratelli. Dunque, l’eucaristia si colloca al livello fondamentale della fede e della vita della Chiesa.

Se questo è vero, ne consegue che quando parliamo del Corpo e Sangue del Signore non stiamo parlando semplicemente di un rito liturgico, né soltanto della misteriosa trasformazione del pane e vino in corpo e sangue del Signore. Stiamo parlando di come Dio ha voluto rivelarsi e di come vuole salvarci e santificarci. Il brano della lettera di Paolo che abbiamo ascoltato si conclude con queste parole: «Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11,26). È chiarissimo il collegamento tra la celebrazione dell’eucaristia e l’annuncio del vangelo: celebrando l’eucaristia, annunciamo la morte del Signore, ossia – per esprimerci in modo più esplicito e completo – annunciamo l’amore di Dio fino al limite estremo, fino alla morte del Figlio. Questa morte è insieme fine di un’era e inizio di una tappa nuova nella storia, che  proprio l’eucaristia inaugura e manifesta «finché egli venga». Anche qui è bene tradurre, completare ed esplicitare: nell’eucaristia veniamo assimilati alla morte del Signore e introdotti nella sua vita risorta in attesa di essere anche noi trasformati pienamente in Lui, come il pane e il vino sono trasformati nel suo Corpo e Sangue.

Per comprendere come questo processo di trasformazione possa estendersi dal pane e vino eucaristici al nostro corpo e sangue, alla nostra vita, ci è di grande aiuto il racconto del vangelo di Luca. Gesù si trova di fronte a una folla enorme: cinquemila uomini, a cui si aggiungono le donne e i bambini. Sono persone che lo seguono perché – come dice l’evangelista – «hanno bisogno di cure» (Lc 9,11) e Gesù si prende cura di loro, non solo guarendole fisicamente, non solo istruendole con le parole. Gesù vuole dare loro la vita. Quando dice ai suoi discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare», sta dicendo: date loro di che vivere, perché il cibo non è altro che il simbolo fisico, corporeo di ciò che ci mantiene in vita. I discepoli non sono solo coloro che vengono istruiti e guariti da Gesù: sono coloro che vengono nutriti da Gesù, che vivono la vita ricevuta da Gesù, e ciò li rende capaci, a loro volta, di nutrire e di comunicare vita. Capite che se manca questo passaggio, questa modalità di relazione con Gesù, il cristianesimo diventa un’altra cosa: diventa una forma di dottrina religiosa esoterica o di insegnamento morale, ciò che in termini più tecnici si chiamerebbe gnosticismo o pelagianesimo.

Luca ci fa entrare nel processo che trasforma i discepoli da coloro che apprendono a coloro che si lasciano nutrire da Gesù, usando quattro verbi: « Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla» (Lc 9,16). Innanzitutto Gesù prende nelle sue mani ciò che i discepoli possono offrirgli. Ai discepoli sembra così poco, così povero da non meritare nessuna considerazione. Per Gesù invece quel poco, quel quasi niente che noi siamo e abbiamo è prezioso, perché Lui sa che viene dal Padre, che è dono del Padre. Noi lo disprezziamo, mentre Gesù lo prende e lo solleva verso il cielo benedicendo il Padre per queste piccole realtà, che nelle sue mani si colmano di tutta la grazia e la potenza dell’amore del Padre. Le stesse mani di Gesù spezzano questi pani, che sono ormai diventati sacramento della vita nuova, della comunione con il Padre. Si possono spezzare perché nello spezzarsi non si frantumano, ma piuttosto si dilatano: il pane diventa il segno della comunione tra il Padre e il Figlio, che si apre per accogliere tutta l’umanità. E infine Gesù riconsegna ai discepoli il pane, divenuto pane di vita e di comunione, perché lo distribuiscano alla folla, così che tutti possano aver parte a questo banchetto di alleanza e di salvezza.

Questo racconto dunque non è semplicemente la narrazione di un miracolo, ma la spiegazione fatta con gesti e segni di che cosa vuol dire essere cristiani. Come potremmo fare a meno dell’eucaristia? Come potremmo dirci cristiani senza l’eucaristia? Ricordiamo le parole dei martiri tunisini del IV secolo: «Sine dominico non possumus», non possiamo vivere senza celebrare l’eucaristia. L’eucaristia è ciò di cui viviamo, ciò che rende presente l’amore di Cristo e ciò che ci indica la direzione del nostro cammino. Per questo l’eucaristia non può restare confinata nel perimetro di una chiesa. Questa sera la porteremo per le strade della nostra città, non semplicemente per onorare una pia tradizione, ma per dire che il pane che abbiamo spezzato fra di noi è offerto a tutti gli uomini, a tutti coloro che cercano la via, la verità e la vita. E per questo mi appresto a conferire ad alcuni nostri fratelli e sorelle il mandato di ministri straordinari della comunione perché a nessuno manchi la possibilità di essere nutrito dall’amore del Signore.