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Omelia nel primo giorno della novena di Pentecoste 2025

“Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.” (Rm 12, 12)
Basilica di San Piero a Grado 30 maggio 2025

Invochiamo lo Spirito. Lo facciamo insieme come comunità unita al suo pastore, in questo luogo di preghiera che ci riporta alle origini della Chiesa di Dio che è in Pisa. Ritorniamo alle origini perché sentiamo costantemente il bisogno di ripartire, di ricominciare, rinascendo dall’acqua e dallo Spirito come singoli e come comunità.

Lo Spirito è detto “padre dei poveri”, perché sono i poveri che lo invocano, che possono invocarlo. Lo Spirito non può scendere in cuori sazi, in anime soddisfatte, in menti rigurgitanti di idee e progetti. È la ferita che lo attrae come balsamo, la solitudine che lo chiama come compagno, la fatica che lo desidera come riposo, il pianto che lo implora come conforto. Lo Spirito non scende come il coronamento delle nostre imprese e virtù: è la base e il fondamento di tutto ciò che è salvato. “Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa”.

Invocare lo Spirito è quindi un atto di umiltà. Riconosciamo che da soli non siamo in grado di camminare, non siamo capaci di scegliere ciò che è bene, di discernere ciò che ci fa progredire e crescere e ciò che, invece, ci paralizza e rinchiude su noi stessi. È dal profondo di questa conoscenza di noi stessi che può scaturire una vera invocazione dello Spirito. Possiamo cercare le più belle preghiere della tradizione cristiana (e ce ne sono di sublimi), ma nulla può sostituire il grido del povero che invoca aiuto, perché ha capito che da solo non riesce ad andare avanti. È il grido del povero consapevole della sua miseria, ma è insieme il grido del figlio, del piccolo che ha fiducia nel Padre, perché il Padre sa ciò di cui abbiamo bisogno, come ci ha detto Gesù nel vangelo.

Noi ci vergogniamo delle nostre povertà, delle nostre malattie, delle nostre paure e insicurezze. E invece sono proprio questi nostri lati vergognosi che si aprono allo Spirito, se soltanto siamo capaci di rimanere in essi, senza fuggire. È ciò che Gesù chiede ai suoi discepoli alla fine del vangelo di Luca: di rimanere lì finché non siano «rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24,49). Gesù conosce bene la debolezza dei suoi discepoli, la loro tendenza a fuggire. Lo hanno già fatto nel momento della sua passione e morte. Proprio per questo non chiede loro di mostrarsi forti e virtuosi, ma solo di restare in attesa della forza donata loro dall’alto. È la superbia che ci chiude al dono dello Spirito, la pretesa di sapere già tutto, il contare sulle nostre forze, la resistenza a cambiare i nostri schemi mentali e criteri di valutazione. Lo Spirito arriva sempre come un vento impetuoso che agita le acque stagnanti, che scompiglia le carte, che rimette in discussione i nostri ordini prestabiliti. Ma proprio così ci libera e estrae da noi stessi energie che non sapevamo di avere, che tenevamo compresse dentro di noi e che vanamente cercavamo altrove. Veramente viene voglia di invocare lo Spirito con tutta la voce dicendogli: Vieni, Spirito, soffia sul nostro ordinato torpore, sul nostro linguaggio logoro, sul nostro modo timido di agire e di pensare!

In questa novena in particolare vogliamo chiedere allo Spirito ciò a cui Paolo ci esorta in Romani 12,12: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera». Sono parole dense di significato, ricche di implicazioni, che rimandano all’esperienza di un’umanità nuova, riplasmata dallo Spirito. Sono parole che vanno comprese non solo nel loro significato letterale, ma nel loro contenuto esistenziale. Sappiamo davvero che cosa vuol dire essere lieti nella speranza? È gioire non di ciò che possiedi, ma di ciò che ti è promesso; non rallegrarti di ciò che sei riuscito a fare, ma di ciò che ti viene donato; non essere soddisfatto di ciò che sei, ma restare in ansiosa attesa di ciò che sarai. È come se il baricentro dell’esistenza si spostasse dal presente verso il futuro, è come se in cuor nostro ci dicessimo: gioisci, il bello deve ancora venire! E in effetti è proprio questo ciò che lo Spirito sussurra nel cuore del cristiano.

Sappiamo che cosa vuol dire essere costanti nella tribolazione? Non è soltanto un esercizio di forza d’animo, di capacità di sopportazione della sofferenza. Paolo usa in greco una parola che anche Gesù utilizza nei vangeli, tradotta a volte con pazienza, a volte con perseveranza. Letteralmente significa “restare sotto”, ossia prendere il peso di una situazione storica e portarlo senza cercare di fuggire. Ogni periodo storico ha un peso da portare, è un peso di sofferenza, di croce, ma anche di grazia. Solo portando quel peso possiamo anche sperimentare la grazia concessa agli uomini in quel tempo storico. «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21,19). Abbiamo bisogno della forza e della leggerezza dello Spirito per poter “restare sotto” il peso della storia del nostro tempo. Solo così il nostro tempo sarà concretamente un tempo salvato, a cui lo Spirito ha ridato vita, senso, forma, bellezza.

E finalmente sappiamo essere perseveranti nella preghiera? Anche in questo caso non si tratta semplicemente di un nostro buon proposito, di una fedeltà a un impegno preso con la nostra volontà. C’è in noi chi è perseverante nella preghiera, è Colui che «intercede con gemiti inesprimibili» per noi (Rm 8,26). La nostra preghiera è perseverante, o meglio «incessante» (1 Ts 5,17) se è la preghiera dello Spirito, se non spegniamo lo Spirito, che prega in noi. È dunque un altro tipo di impegno, più profondo, più radicale: quello di ascoltare lo Spirito, la sua «voce di silenzio sottile» (1Re 19,12) che è percepibile solo mettendo a tacere le tante altre voci che parlano intorno a noi e dentro di noi. Ancora una volta non è un cammino del fare, fondato sulle nostre forze, ma è un cammino del cuore, che apprende ad essere docile, a lasciarsi guidare e trasformare dall’alto.

Maria, che ha perseverato con gli apostoli in preghiera nell’attesa dello Spirito, ci sia guida e compagna in questo cammino.