il portale della Chiesa Pisana

Per una spiritualità dell’ascolto e del servizio:

Giovanni Battista, l’amico dello Sposo

 (Gv 1,6-8.19-34; 3,22-30

Pietrasanta – 2 dicembre 2021

La figura di Giovanni il Battista è tipica del tempo liturgico dell’Avvento. Giovanni infatti, prepara la venuta del Salvatore, e lo annuncia presente in mezzo alle folle che si recavano sulle sponde del Giordano per essere battezzate; la liturgia dell’Avvento ce lo presenta come colui che invita tutti a “rendere diritta la via del Signore”, come disse il profeta Isaia, e che poi indica  in Gesù “l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”.

Vogliamo dunque mettere al centro della riflessione di questo nostro ritiro, la figura del Battista, considerandolo come “l’amico dello Sposo, che l’ascolta ed esulta di gioia alla voce dello Sposo”, dopo che nello scorso ritiro abbiamo meditato sulla nostra identità di presbiteri confrontandoci con il nostro modello di riferimento: Cristo, sposo della Chiesa.

I tre testi che ci sono stati indicati, tratti dal vangelo di Giovanni, appartengono al primo e al terzo capitolo. In tutti e tre ci sono due parole e un verbo che ritornano per otto volte: sono le parole testimone e testimonianza e il verbo testimoniare; questi termini connotano in maniera quasi martellante la persona del Battista nel suo rapporto con il Signore Gesù.

Venne un uomo mandato da  Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce (…) Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce (…) questa è la testimonianza di Giovanni, quando i giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: Tu, chi sei?” (Gv 1, 7.8.19). “Giovanni testimoniò dicendo: Ho contemplato lo Spirito discendere come colomba dal cielo e rimanere su di lui”(Gv 1,32); “Ho visto e testimoniato che questi è il Figlio di Dio” (Gv 1,34).  E ancora al capitolo terzo di Giovanni: “Andarono da Giovanni e gli dissero: Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui”(Gv 3, 26). “Giovanni rispose: voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: Non sono io il Cristo, ma, sono stato mandato avanti a lui”(Gv 3,28). 

Sappiamo bene chi è un testimone: si tratta non solo di persona “informata” su certi fatti; bensì è persona che ha visto e vissuto direttamente quei fatti sui quali offre la sua testimonianza; non li racconta per sentito dire, ma perché li ha direttamente sperimentati; ovviamente li racconta filtrati dalla sua esperienza, accompagnati dalle sue emozioni più profonde e interpretati dalla sua sensibilità e da quella ruminazione interiore che sempre entra in gioco quando si tratta di avvenimenti che toccano l’intimo della vita di una persona. 

Se alla base di ogni testimonianza c’è sempre l’oggettività di ciò che si è visto, udito e toccato con mano – come dice Giovanni nella sua prima lettera quando afferma : “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita (…) quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”(1 Gv 1,1.3) – se e quando l’oggetto della testimonianza verte su avvenimenti che rivelano l’azione salvifica di Dio – “La Vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che si manifestò a noi”(1Gv 1,2) – non dobbiamo mai dimenticare che se il cuore di questa testimonianza è oggetto di fede, esige uno sguardo che sappia andare oltre il sensibile;  cioè che si lasci guidare e illuminare dalla luce che viene dall’alto.

Anche per il Battista è stato così. Dice infatti l’evangelista Giovanni: “Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce”(Gv 1, 6-8). Il Battista, di fatto, è stato investito dalla luce del Messia. Dice Luca nel Benedictus a proposito del Battista: “Tu, bambino sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati. Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace”(Lc 1,76-79). Il sole che sorge dall’alto, prima di ogni altro, ha illuminato il Battista quando era ancora nel seno di Elisabetta, tanto da “sussultare”dentro di lei.

E’ la luce dello Spirito Santo che fa tutto questo; una luce tutta interiore che Dio continua a donarci attraverso quei canali di grazia che sono i sacramenti, che è la sua parola, e nella vita di tutti i giorni, le varie occasioni di incontro con il prossimo nella carità. Anche qui ritorna la necessità di guardare ad ogni cosa con lo spirito di fede, senza il quale, tutto rimane avvolto nella nebbia o addirittura nella più impenetrabile oscurità.

Se ben guardiamo ai testi di Giovanni che ci sono stati proposti ci si accorge che il tema della testimonianza e l’azione del testimoniare ruotano intorno ad una domanda fondamentale rivolta al Battista, che poi rimbalza su Gesù e giunge fino a ciascuno di noi: “Tu, chi sei?”. E’ l’interrogativo che riguarda ognuno e che verte sulla identità personale di ogni essere umano. E’ pure la domanda sulla quale vogliamo provare a meditare quest’oggi, nella sua triplice formulazione.

La domanda, come abbiamo sentito, viene posta al Battista quando “i giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo”. “Egli confessò e non negò. Confessò: Io non sono il Cristo. Allora gli chiesero: Chi sei dunque? Sei tu Elia?. Non lo sono, disse. Sei tu il profeta? No, rispose. Gli dissero allora: Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”(Gv 1,20-22).

L’interrogatorio posto al Battista, rivela quali fossero le preoccupazioni dei capi di Israele a proposito di quest’uomo singolare che battezzava al Giordano. Infatti esse vertono su quelle che erano in quel momento le aspettative del mondo ebraico che attendeva la venuta del Messia, il Cristo – consacrato e inviato da Dio per la liberazione del suo popolo; un nuovo Elia che avrebbe ristabilito non tanto i diritti di Dio, quanto la libertà di Israele. Poteva essere un nuovo Mosè – il Profeta per eccellenza – ; comunque poteva sempre trattarsi di  un profeta annunciatore dei tempi messianici attesi da sempre. Giovanni non indugia nelle sue risposte ed è chiarissimo nel rigettare le aspettative dei suoi interlocutori: non è il Cristo; non è Elia; non è il Profeta, cioè un nuovo Mosè, che l’aspettativa popolare attendeva. La risposta che Giovanni offre, manifesta la profondità del suo personale radicamento nella storia del popolo di Dio: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia”. 

Giovanni non è “altro” rispetto ad una storia di salvezza che è in atto e non è un “libero professionista” di questa salvezza; è voce per dare risonanza ad una parola che non è sua e che è stata rivolta anche a lui. E’ da notare che la citazione che si fa del profeta Isaia viene introdotta da un “Io sono” che non è di Isaia, ma di Giovanni. Si tratta della manifestazione della consapevolezza di sé da parte sua, proprio in ordine ad una storia di salvezza che viene da lontano e che è proiettata verso un futuro di cui non si conosce la conclusione.

La stessa citazione di Isaia può essere intesa in modo ambivalente: la voce risuona nel deserto che è il luogo delle grandi teofanie di Jahwè; nello stesso tempo è nel deserto, cioè nel luogo della inospitalità e dell’abbandono, che occorre preparare la strada sulla quale possa transitare  il Signore che viene incontro al suo popolo. 

Gesù stesso darà la chiave di lettura della vicenda del Battista. Luca infatti narra che “Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Si, io vi dico anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. (Ml 3,1). Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui”(Lc 7,24-28). 

Giovanni, la voce, è dunque il messaggero davanti a Colui che Dio avrebbe inviato; è il precursore, colui che precede il Cristo e che ha il compito straordinario di indicarlo presente nel mondo.  E’ l’annunciatore che dopo aver fatto l’annuncio tanto atteso, scompare, cioè si tira indietro, perché non è lui che deve essere accolto. Infatti le raffigurazioni del Battista mostrano sempre un asceta, vestito di pelli, che con l’indice della mano destra indica non sé, ma un altro: il Cristo salvatore. In questo, il testo evangelico di Giovanni è molto chiaro: “Il giorno dopo, vedendo  Gesù venire verso di lui, disse: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”(Gv 1, 29-31).

In queste parole abbiamo pure la risposta all’ altra domanda che gli ambasciatori dei capi di Gerusalemme avevano posto al Battista di fronte al suo diniego di essere il Messia, Elia o Mosè: “Perché dunque tu battezzi se non sei il Cristo, né Elia, né il Profeta?”. Compito del Battista era rendere manifesta la presenza del Cristo nel mondo; una presenza che fino a quel momento era sconosciuta a tutti, ma che era la “ragione” vera del suo ministero profetico: “Io battezzo  nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo”(Gv 1,26-27). Giovanni si presenta nella consapevolezza della sua piccolezza: è Gesù, colui che deve essere accolto come l’inviato di Dio. Giovanni è solo voce della Parola – il Verbo – pronunciato da sempre nell’eternità da Dio Padre; la voce trasmette la Parola, cioè trasmette il contenuto del messaggio; questo deve depositarsi nel cuore dell’ascoltatore, mentre la voce svanisce e viene riassorbita dal silenzio. Non solo: questa voce non si attiva per volontà propria, bensì per rispondere ad un mandato ricevuto, con una finalità ben precisa: quella di “manifestare” il mistero di Dio presente in mezzo agli uomini mediante l’incarnazione del Verbo, del Figlio di Dio fattosi uomo.

In questo senso  si comprende il valore delle parole pronunciate dal Battista quando riafferma la testimonianza già da lui offerta agli inviati da Gerusalemme: “Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma “sono stato mandato avanti a lui. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire”(Gv 3,28-30).

La chiara affermazione della propria identità da parte del Battista, esalta quanto mai l’identità di Colui del quale è il precursore. Il Battista non si ritiene degno di sciogliergli il laccio dei sandali perché “egli era prima di me”. Il Battista è stato mandato “perché il Cristo fosse manifestato ad Israele”. Per Gesù, che Giovanni non conosceva ancora, si compie quanto era stato rivelato: “Colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo” (Gv 1,33). Il termine “rimanere” dice il mistero dell’azione salvifica di Dio che si compie in Gesù perché “lo Spirito rimane su di lui” e dunque solo Gesù “battezza in Spirito Santo”. Il culmine poi lo si ha quando Giovanni afferma senza veli: “Io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”( Gv 1,34). Infine, l’ultima pennellata non di colore, ma che delinea il mistero di una identità che viene illuminata dall’intera storia della salvezza, è l’immagine dello sposo che si unisce finalmente alla sua sposa, proiettando su Gesù tutto ciò che l’Antico Testamento aveva affermato a proposito di Dio sposo di Israele. Di questa unione d’amore il Battista è testimone qualificato, come l’amico dello sposo che accompagnava lo sposo alla intimità dell’unione sponsale con la sua sposa.

In conclusione, se è vero che l’identità di Giovanni Battista si svela in rapporto a Gesù, è pure vero che l’identità stessa di Gesù acquista sempre più nitidezza nel suo contenuto proprio in rapporto a Giovanni, il quale è consapevole dei limiti della sua missione e della necessità di farsi da parte al momento opportuno, cioè nel momento stesso in cui la voce del Padre celeste risuona in tutta la sua potenza sulle acque del Giordano indicando in Gesù, l’amato nel quale si è compiaciuto. Ci racconta Luca: “Mentre tutto il popolo veniva battezzato, e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì, e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”(Lc 3,21-22).

Dobbiamo poi aggiungere che anche il Battista deve crescere nella fede. E’ significativo che anche  Giovanni sia stato assalito dal dubbio; infatti, messo in prigione, manda i suoi discepoli ad interrogare Gesù se era Lui il Messia o se ne doveva aspettare un altro: “Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo” (Mt 11,4-6). Sembra strana la domanda posta da Giovanni a Gesù, dal momento che era stato lo stesso Giovanni ad indicare a tutti la presenza nel mondo dell’Agnello di Dio; in realtà nessuno può passare attraverso i problemi della vita senza che in lui nascano interrogativi anche su ciò che sembrava ormai definitivamente assodato; anzi, c’è sempre bisogno di ritornare alle fonti da cui sono scaturite le nostre certezze più profonde. E queste fonti sono gli avvenimenti in cui giorno dopo giorno si incarna e diventa storia la Parola di Dio che abbiamo ricevuto e che ha suscitato la nostra risposta di fede. Una parola che deve essere sempre ascoltata di nuovo, accolta con fiducia, fatta entrare nel cuore e tradotta nelle scelte che quotidianamente andiamo facendo.

Fin qui ci siamo messi in ascolto dei testi evangelici che ci narrano del Battista e del suo rapporto con Gesù e che ci ha rivelato i tratti caratteristici che delineano l’identità di entrambi. A questo punto c’è bisogno di applicare a noi stessi quanto la Parola di Dio ci ha fatto conoscere.

Cominciamo dalle domande poste da Giovanni a Gesù se sia o no il messia atteso.

Il contesto culturale nel quale ci troviamo non facilita nessuno nel proprio cammino di fede, anzi, spesso accentua le difficoltà che ogni persona può provare quando il Signore gli chiede di fidarsi di lui. Anche per noi preti può insinuarsi nel nostro intimo questa difficoltà soprattutto quando ci troviamo “imprigionati” nella crescente difficoltà di rivolgerci ad un mondo che sembra sempre più indifferente alle proposte cristiane. Prima che la mancanza di fede, è facile che giochino in noi lo scoraggiamento e la delusione per gli insuccessi che andiamo registrando ogni giorno. Ci assale allora la tentazione di domandarci: ne vale la pena continuare ad insistere nel nostro impegno apostolico, o invece tiriamo i remi in barca e lasciamo che le cose vadano come vogliono? Il rischio è di adattarci al minimo; di lasciar perdere le occasioni belle e buone che ci vengono offerte e di accontentarci di continuare a ripetere quello che abbiamo sempre fatto, senza voler vedere e riconoscere il nuovo che sta germogliando. E, invece di rinforzare la nostra preghiera, finiamo per aumentare i nostri lamenti sterili e inutili, senza accettare l’evidenza di ciò che è cambiato e continuamente cambia  e che chiede di affinare la nostra capacità di sintonizzarci su frequenze culturali inedite e soprattutto sulla frequenza della Parola di Dio che deve essere il riferimento necessario della nostra meditazione e preghiera quotidiana.

Anche noi, come il Battista possiamo porci interrogativi che sembrano mettere in dubbio ciò che ci sembrava di avere acquisito definitivamente. Non dobbiamo spaventarci, bensì, le domande che ci inquietano e ci mettono in confusione, dobbiamo avere il coraggio di rivolgerle proprio al Signore nella preghiera, che ha bisogno di diventare più intensa e più prolungata. Come sappiamo bene, il Signore non manca mai di risponderci, di rassicurarci e di ripeterci che senza di lui non possiamo fare niente. C’è allora da centrarci su di lui, affidarci alla potenza della sua Parola, e lasciarci condurre dal suo Spirito Santo che non abbandona mai la sua Chiesa e che la conduce con forza e soavità anche in mezzo alle peggiori tempeste che si possano immaginare.

Come abbiamo visto, il Battista si staglia davanti a noi come “testimone” del Cristo e della sua presenza nel mondo.  Di solito parliamo della testimonianza soprattutto quando dobbiamo preparare i ragazzi alla celebrazione del sacramento della Confermazione. In realtà il compito di testimoniare è responsabilità di ogni cristiano e in particolare di chi ha fatto una scelta radicale di vita nella sequela del Signore Gesù, come noi preti, diaconi e religiosi, non dimenticando che per ogni cristiano si tratta di fare, nelle diverse vocazioni, una scelta radicale di fedeltà a Gesù e al suo vangelo. A volte sembra che ci siano o ci possano essere delle “vie mediane”, nemmeno troppo impegnative, che è sempre possibile percorrere, per cui sarebbe sufficiente l’osservanza di alcune regole per sentirsi a posto in una fedeltà più formale che sostanziale. 

Ciò può verificarsi anche per noi ministri ordinati, per cui ci si accontenta di “fare” alcune cose e non ci si impegna con tutte le nostre forze ad “essere” come il Signore ci vuole.  Non sto dicendo niente di speciale, perché sono cose che diciamo normalmente alla nostra gente, ma che abbiamo sempre bisogno di ripetere a noi stessi: non basta fare i preti, bensì bisogna esserlo. Cioè avere la consapevolezza che ogni momento della nostra giornata o è testimonianza della nostra appartenenza al Signore nel servizio al suo popolo, o rischia di diventare contro testimonianza, perché la nostra vita può sempre smentisce nei fatti la Parola alla quale ci ispiriamo e che proclamiamo.

In questo contesto si inserisce la consapevolezza del Battista di essere “voce”, cioè lo strumento attraverso il quale la Parola di Dio proclamata dai profeti si invera nella situazione e nel tempo che Giovanni vive nella Palestina del suo tempo. Credo che ciascuno di noi si debba domandare con coraggio e nella verità: Io sono voce del Signore? Ho la consapevolezza di questa missione che mi è stata affidata? Sta forse succedendo anche a me ciò che a volte succede con gli impianti di amplificazione delle nostre chiese? E cioè che l’impianto non risponde più alle necessità e o è afono, cioè non amplifica più, per cui è necessario che invece di parlare si urli, deformando il tono delle nostre comunicazioni; o che si mette improvvisamente a fischiare in maniera talmente fastidiosa che tutti si tappano le orecchie, o che funziona ad intermittenza, per cui non si riesce più a seguire il discorso di chi sta parlando; oppure ci si affidi talmente alla funzionalità dello strumento tecnico per cui, invece di pronunciare le parole in maniera distinta e pacata, finiamo per borbottare senza che gli ascoltatori riescano a capire qualcosa.

Al di là dell’immagine, credo che sia importante verificare lo stato della nostra voce, non solo per quanto riguarda la nostra predicazione, bensì anche per quanto riguarda la nostra vita. Quante volte, la nostra gente, e soprattutto i giovani, si lamentano della nostra predicazione! A volte si è talmente bravi che dopo aver parlato a lungo, non si è stati capaci di dire niente che la gente possa portare con sé, o perché non ci eravamo preparati, o perché invece di far parlare la Parola di Dio ci siamo abbandonati a considerazioni di piccolo cabotaggio, oppure abbiamo argomentato una lezione di teologia, o siamo stati talmente freddi che invece di comunicare il calore dello Spirito abbiamo gelato gli stessi piccoli germogli che lo Spirito di Dio non cessa mai di far sorgere nel cuore di ciascuno. 

Siamo tutti più che consapevoli di quanto impatto negativo nella sensibilità del popolo cristiano abbiano provocato gli scandali di pedofilia da parte del clero e di gente che frequenta le realtà ecclesiali; ma non dobbiamo pensare che non siano meno gravi anche i cattivi esempi legati all’uso dei soldi o ad un tenore di vita che non va d’accordo con la scelta di seguire Gesù nella essenzialità dei mezzi che usiamo e nell’esercizio della virtù della temperanza. Non dobbiamo certo imitare il Battista con il cibarci di locuste e di miele selvatico o di indossare  la “pilurica” come faceva San Ranieri; certamente però, non dimentichiamo che comunque la gente ci fa i conti in tasca e che se le famiglie in cui entrano gli stessi soldi che percepiamo noi non possono permettersi certi lussi, nemmeno noi potremmo avere a disposizione certi mezzi e strumenti solo ricorrendo al quid mensile del Sostentamento del Clero.

Giovanni infine si definisce “amico dello sposo”. Una espressione estremamente intensa che allude ad una partecipazione anche affettiva ed emotiva all’esperienza sponsale di Cristo nei confronti della Chiesa  sua Sposa. Dice il testo che “la sposa appartiene allo sposo”, “ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo”. 

Questa annotazione ci chiede di interrogarci oltre che sul nostro rapporto con Cristo, anche sul nostro rapporto con la Chiesa sua sposa. C’è stato un tempo in cui lo slogan che correva di più era “Cristo, sì; Chiesa, no”. Oggi questo slogan si è modificato nel senso che non ci si pone più nemmeno il dilemma di dire un no alla Chiesa, tanto sembra essere diventata insignificante, mentre anche il sì a Cristo sta diventando sempre più condizionato dalle circostanze e dagli umori culturali del momento. In più si sta divaricando sempre più la forbice tra l’adesione di fede e l’impegno nella vita morale, come se la professione di fede, non dovesse avere una qualche incidenza nelle scelte concrete della vita di tutti i giorni.

Non ci si meravigli se dico questo, perché anche fra di noi non mancano derive di questo genere, come se la fede fosse una teoria accettabile sul piano delle idee teologiche e la vita fosse altra cosa e potesse fare a meno di far riferimento alla fede che si professa. In altre parole, non è poi così difficile lasciarsi catturare da una specie di schizofrenia spirituale per cui ciò che si celebra o si proclama non dovesse essere incarnato nella vita e nelle scelte che ogni giorno siamo chiamati a fare soprattutto sul piano della vita morale. 

Il Battista assume per sé il ruolo dell’”amico dello sposo”; un ruolo di cui anche noi siamo chiamati ad essere partecipi attraverso la “presenza” e “l’ascolto” nei confronti di Cristo sposo della Chiesa, e in ultimo della Chiesa stessa. Una presenza che non è mai scontata: si può essere fisicamente presenti senza esserci realmente, e ci si può stringere gli uni agli altri pur essendo fisicamente lontani.  Detto con un’altra parola, oggi più che mai c’è bisogno di cura delle relazioni interpersonali, una cura che non viene da sé, bensì che ha bisogno di essere sostenuta con generosa determinazione e che si esprime specialmente con la disponibilità all’ascolto. Tema questo che in questo tempo ci impegna e ci sollecita non tanto nell’ottica del processo sinodale in corso, ma nella volontà di andare contro corrente rispetto ad una cultura che parla molto e ascolta poco e che invece di favorire relazioni autentiche spinge spesso in maniera surrettizia all’individualismo più esasperato. L’amico dello sposo, è presente e ascolta. Lo è così anche per noi?  Ci sentiamo amici del Cristo sposo e quindi davvero gioiosi quando possiamo gioire insieme con lui per la Chiesa sua sposa? La strada che il Battista ci indica è quella che lui stesso ha percorso: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire!

Per questo vogliamo chiedere: Signore, fammi comprendere sempre di più che la vera grandezza non è quella che cerca il mondo, ma quella che tu stesso ci mostri nel metterti al servizio di ogni fratello, fino a lavare i piedi di ognuno. Donami la consolazione di condividere la gioia di chi gioisce e il pianto di chi soffre. Aiutami a farmi piccolo perché tu possa manifestare la tua grandezza attraverso la tua Chiesa che tu vuoi madre feconda di molti figli. Effondi su tutti noi il tuo Spirito: sarà la garanzia più efficace perché possiamo sperimentare la tua pace in una gioia che nessuno potrà mai toglierci. Maria Madre tua e Madre nostra ci accompagni maternamente, perché anche nelle difficoltà possiamo però gioire con Cristo nella serena familiarità della famiglia di tutti noi che è la Chiesa. Amen.