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Omelia nella Commemorazione dei Defunti

Cattedrale  – 2 novembre 2021

I testi delle letture e delle preghiere nella commemorazione di Tutti i Fedeli defunti sono un invito a considerare il senso più vero della vita. Sono un invito alla vita. 

Abbiamo ascoltato la testimonianza che ci viene da Giobbe. Giobbe sofferente, Giobbe ricco di dolore e di disagio nella sua vita, afferma di fronte alla prospettiva di una morte possibile, la certezza che c’è un Redentore, cioè che il Signore riscatta dalle situazioni di dolore e di fatica e apre alla pienezza di vita. 

E’ un’affermazione forte quella che Giobbe esprime: “dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio”. E’ un’affermazione che nell’Antico Testamento risuonava in maniera singolare, ma che in Cristo Gesù diventa una certezza profonda di fede per tutti. 

Vedere Dio, incontrare Dio, non più soltanto nelle immagini o nei riflessi della sua presenza, ma direttamente, e non attraverso gli occhi di carne, ma attraverso l’esperienza interiore, attraverso un rapporto vitale, è frutto di un dono, di una grazia che viene dall’alto. 

Questo frutto di vita, ha una sua origine, una sua sorgente. Certamente la prima sorgente è quella creaturale: Dio ci ha fatti a sua immagine e somiglianza e in qualche modo ha immesso in noi non soltanto il soffio vitale, ma la possibilità di una relazione profonda con lui. 

L’amore di Dio, poi, è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato. Il che vuol dire che questo dono di vita che viene dall’alto non si disperde, non viene azzerato, non viene annullato; c’è una salvezza e una comunione di vita che continua anche oltre il tempo. Una volta iniziata non finisce più salvo che non ci sia da parte dell’uomo il rifiuto, e allora questa continuità di vita che esiste per tutti non sarà più una continuità felice, ma potrà diventare una continuità infelice. 

Nel Camposanto qui vicino, sulla Piazza del Duomo, dove fra poco andremo per benedire le tombe, c’è una lapide scritta in latino, ma che è comprensibile da tutti anche da chi non sa il latino, che dice: “stai attento al momento da cui dipende l’eternità dell’infelicità”. Noi possiamo dire invece: “stai attento al momento da cui dipende la felicità dell’eternità”. 

Il momento da cui dipende la felicità eterna non è soltanto il momento della morte, bensì è anche il vivere quotidiano nella pienezza della grazia che viene da Dio. Allora se si può guarda al mistero della morte col senso della paura e dello sgomento, vi si può guardare anche con lo sguardo della consapevolezza che attraverso la morte la vita non viene tolta, ma trasformata in una comunione sempre più profonda con il Signore, in una salvezza che già si è realizzata per tutti nella Pasqua di Gesù e che ciascuno è chiamato a far entrare nella propria vita quotidiana.   

Sant’Ambrogio, diceva che bisogna “allenarci quotidianamente a morire”, ma lo diceva proprio in questa prospettiva: ogni giorno siamo chiamati a questo allenamento in cui la prospettiva del nostro vivere non ha termine nel giorno della nostra morte, ma attraverso quel giorno si ha il passaggio verso un incontro che diventerà definitivo, pieno, completo, in attesa poi, come ci diceva il testo del Vangelo di Giovanni  riportandoci la parola di Gesù che questa è la volontà del Padre che ha mandato il Figlio suo Gesù, che Gesù non perda nulla di quanto il Padre gli ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. 

In attesa della risurrezione nell’ultimo giorno, abbiamo la certezza di una vita che non ha fine e la certezza di una felicità eterna; la certezza che giorno per giorno siamo chiamati a costruire la nostra risposta al Signore e a far fruttificare già da ora una felicità che è possibile sperimentare anche nei momenti più difficili, complicati e più complessi del dolore, perché la volontà del Padre è che chiunque vede il Figlio, cioè chiunque entra in contatto con Gesù e crede in lui, abbia la vita eterna. E’ la fede che ci introduce in questa vita che non ha fine in attesa della risurrezione  nell’ultimo giorno.

Con questa fede possiamo dunque pregare per i nostri defunti. La fede ci permette di essere certi che la preghiera del suffragio vale per loro, e indirettamente vale anche per noi. C’è un mondo visibile che è quello che ricade sotto la nostra esperienza quotidiana, ma c’è anche un mondo invisibile che già da ora possiamo in qualche modo incontrare, e verso il quale siamo diretti e  nel quale chi ci ha già preceduto diventa intercessore anche per noi nella nostra vita di tutti i giorni. 

Da parte nostra ecco allora la preghiera per i defunti come suffragio, e da parte di chi è già presso il Signore ecco la preghiera perché anche noi possiamo camminare sulla via della fede per raggiungere la pienezza della vita nel regno che non ha fine.

( da registrazione)