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Omelia all’Ordinazione Presbiterale di don Lorenzo Correnti

Cattedrale di Pisa – 31 ottobre 2021

Carissimo don Lorenzo,

la tua ordinazione presbiterale si colloca nella cornice festosa della solennità di Tutti i Santi: possiamo ben dire che tutto il Paradiso, oggi, è qui presente con noi per rendere grazie al Padre celeste per il dono che viene concesso alla Chiesa pisana con la tua consacrazione sacerdotale. E’ ovvio che il tema della nostra riflessione sia perciò quello della santità. Santità quale dono di Dio alla sua Chiesa e a ciascun cristiano rinato alla grazia nel battesimo; santità quale impegno di vita per ogni cristiano e in particolare per un prete; santità quale compito educativo e formativo affidato in modo particolare a chi, chiamato dal Signore, risponde alla vocazione di servizio ecclesiale nella missione di guidare e accompagnare il popolo di Dio sulla via del Vangelo.

In questa riflessione, vogliamo lasciarci guidare, come sempre, dalla parola di Dio che è stata proclamata.

La visione che Giovanni ha nell’Apocalisse ci ha mostrato una “moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: la salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono e all’Agnello”. Anche a noi viene da domandarci: chi sono costoro? O in altre parole: chi sono i santi? La risposta ci viene data dal testo stesso: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”.  

Non può esserci santità senza una intima partecipazione alla vita di Cristo; senza che egli diventi il paradigma per le nostre scelte di vita, per il nostro pensare, il nostro amare, il nostro agire. Non si tratta di qualcosa di impossibile! Giovanni infatti, contempla una “moltitudine immensa che nessuno poteva contare”. Non si tratta di una elite di pochi fortunati, appartenenti a classi selezionate e privilegiate; lo sappiamo, il Concilio Vaticano II ce lo ha detto con grande forza e il Magistero della Chiesa ce lo ripete continuamente: tutti siamo chiamati alla santità! Si tratta di una vocazione universale che abbraccia tutti, nessuno escluso, e che, se abbiamo occhi interiori puliti, possiamo ben riconoscere in chi ci vive accanto, in quei “santi della porta accanto” di cui spesso parla Papa Francesco.

Si tratta della santità feriale, quotidiana, che abbiamo ricevuto come dono nel battesimo, che viene confermata e consolidata attraverso i sacramenti che riceviamo e che viene esercitata nella vita di famiglia, nella professione lavorativa, nello studio e in tutti i vari ambiti della nostra esistenza, e che un prete custodisce e fa crescere in sé e negli altri, proprio attraverso l’esercizio del suo ministero presbiterale. La santità, afferma il Concilio, è pienezza di carità; il suo esercizio, per un prete è esercizio della “carità pastorale”; cioè esercizio della missione ricevuta nell’ordinazione sacra come “carità in azione”, intendendo con questa espressione non solo l’impegno ad amare Dio e il prossimo attraverso l’esercizio colmo di generosa disponibilità del proprio ministero, bensì soprattutto attraverso la consapevolezza che si è capaci di amare nella misura in cui sappiamo accogliere il dono d’amore divino che lo Spirito Santo ha effuso e continua ad effondere nel nostro cuore.

Giovanni, nell’Apocalisse, parla di una “grande tribolazione” attraverso la quale sono passati coloro che hanno “lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”. Sappiamo tutti che la vita non riserva solo gioie, ma anche fatiche e sacrifici che non sono mai inutili quando vengano affrontati nell’amore e per amore. Anche il sacerdozio, soprattutto nella cultura odierna, in cui il ruolo esercitato non è più una difesa o una opportunità di promozione sociale, se vissuto con intensità e generosa disponibilità, ci chiede di non rifuggire dal sacrificio e dal dono sincero di noi stessi. Paradossalmente però, proprio quando ci rendiamo disponibili ad abbracciare le inevitabili croci della vita, ci si accorge quanto queste diventino feconde di grazia  e di efficacia salvifica.  Davvero le nostre vesti, cioè la nostra vita, il nostro servizio, diventano candide nel sangue dell’Agnello, splendenti di quella luce di cui sempre più il mondo ha bisogno per vedere e contemplare la meta verso la quale tutti siamo diretti: la pienezza della vita eterna nel regno di Dio.

Tutto questo, però non si improvvisa, bensì si costruisce in un percorso mai concluso di educazione e di formazione di sé e del popolo di Dio a cui un sacerdote viene inviato. Un cammino formativo in cui deve essere chiaramente riconosciuto il “grande amore che ci ha dato il Padre, per essere chiamati figli di Dio”. Non si tratta solo di un modo di dire, perché figli di Dio, “lo siamo realmente!”.  Non è affatto scontato che questa verità, così “normale” per un cristiano, lo sia altrettanto per la gente del nostro tempo, in cui si è smarrito il senso della paternità e della maternità proprio perché si è smarrita la consapevolezza dell’essere figli, cioè del nostro essere frutto di un amore che ci ha prevenuti e da cui abbiamo preso forma. Dice infatti Giovanni nella sua prima lettera: “Per questo il mondo non ci conosce, perché non ha conosciuto Lui”. E “Lui” è Gesù, il Figlio eterno del Padre celeste che si è fatto uomo per salvarci.

Si tratta di una conoscenza che non è soltanto intellettuale, frutto di studio e di indagini culturali, bensì di quella conoscenza interiore che coinvolge il cuore e la vita oltre che la mente: una vera e propria esperienza di comunione senza la quale il mistero di Dio rimane lontano dalla nostra vita. La nostra missione di preti, deve essere dunque tesa a far sì che ogni fratello e sorella ai quali siamo mandati possa fare questa esperienza di incontro con il Padre celeste grazie a Cristo Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo. Una esperienza di cui noi stessi dobbiamo essere testimoni con la nostra vita; una vita vissuta con lo stile delle Beatitudini evangeliche.

Caro don Lorenzo, le Beatitudini che la liturgia di oggi ci propone siano dunque lo specchio sul quale quotidianamente potrai e dovrai rileggere il tuo agire, il tuo pensare, il tuo amare, in un confronto nel quale non dobbiamo avere paura di scoprirci distanti dal modello che Gesù ci offre, o deformi rispetto alle caratteristiche che le connotano. Non ti intimorire se qualche volta potranno sembrarti inarrivabili a causa della fragilità che tutti possediamo in abbondanza: l’importante è ricordare allora che la santità è prima di tutto dono e che il modo di custodirla perché fruttifichi con abbondanza, è corroborarla nella preghiera, nella carità operosa e nella disponibilità dell’obbedienza piena e generosa alla volontà di Dio così come si manifesta attraverso la voce della Chiesa. Una Chiesa nella quale ciascuno deve sentirsi di casa, in famiglia, con fratelli e sorelle che sono la nostra comunità di appartenenza e soprattutto con fratelli nel presbiterato che insieme con il vescovo costituiscono l’ambiente vitale del presbiterio diocesano in cui può e deve svilupparsi la gioia della comunione intorno alla Parola e al Pane di vita nella celebrazione dell’Eucaristia, nella crescita spirituale comunitaria e nell’impegno pastorale a servizio del Popolo di Dio.

Tutto questo, è patrimonio prezioso che hai conosciuto negli anni della tua formazione in Seminario e che senza dubbio hai profondamente assimilato nella tua vita; l’augurio che ti faccio e ti facciamo tutti insieme stasera, è che sia sempre più il tuo stile di vita quotidiano. 

Con te, anche noi tutti, siamo in cammino sulla strada della santità; abbiamo avuto modo di “conoscere” il mistero dell’amore di Dio che in Cristo ci è stato rivelato. La nostra meta finale è oltre l’orizzonte di questa terra perché “sappiamo che quando si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro”.

Ti accompagni in questo cammino l’intercessione di Tutti i Santi e soprattutto la materna protezione della Vergine Madre di Dio, Madre della Chiesa e  Madre dei sacerdoti. Amen.