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Lectio giovani 

5 maggio 2021 

RELAZIONI E LEGAMI DI FRATERNITÀ

Questo è il mio comandamento: 

che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.

Relazioni e legami di fraternità

Viene proposta alla nostra riflessione il testo di Genesi riguardante la costruzione della torre di Babele. Come sempre la lectio consiste nel leggere la Parola di Dio con la Parola di Dio.

Un testo di riferimento a Babele lo abbiamo in Atti 2,5-12 cioè nell’evento della Pentecoste alla quale ci stiamo avvicinando.

Dal libro della Genesi 11,1-9

1Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. 2Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. 3Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. 4Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». 5Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. 6Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. 7Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». 8Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. 9Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

  • Per prima cosa è fondamentale comprendere il testo proposto

Il contesto:

Genesi, dopo il racconto del diluvio ci offe il panorama della discendenza di Noè (l’uomo giusto) da cui doveva ricominciare la storia di relazioni buone fra gli uomini. Dal tronco di Noè, i rami delle famiglie dei figli di Noè si allargano secondo le loro “genealogie nelle rispettive nazioni” e “da costoro si dispersero le nazioni sulla terra dopo il diluvio” (Gen 10,32).

Tutto sembrava ristabilito nell’unità: “tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole” (Gen 11,11)

C’è però un fatto nuovo: «Emigrando dall’oriente gli uomini “capitarono” in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono» (11,2).

Dalla mobilità si passa alla stabilità; dalla pastorizia sotto le tende, alle case di mattoni.

L’uomo sente sempre il bisogno di mettere radici; di sicurezza, di quiete; e insieme e la voglia di andare oltre, di conquistare altro rispetto alla precarietà del provvisorio. E ci si attacca alle cose; si tende a diventare padroni.

“Venite: costruiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo; e facciamoci un nome, pe non disperderci in tutta la terra” (11,4). Il libro del Siracide mette in evidenza che “I figli e la fondazione di una città consolidano un nome” (Sir 40,19).

Di fronte alla precarietà della vita, si cercano i mezzi per avere e dare continuità:

  • Illusione di una giovinezza perenne (creme etc.)
  • Conquista della medicina per allungare la vita.
  • Ricchezze per accrescere il potere.
  • Potere per accrescere le ricchezze.

Se è logico costruire una città (valore della vita comune delle relazioni parentali della ricerca del bene comune) ciò che nel testo di Genesi fa vedere quali sono le mire nascoste è “costruire una torre che tocchi il cielo”. Sostituire l’uomo a Dio, diventando come Dio. Si ripete ciò che era già avvenuto nel giardino della creazione: ambizione, pretesa di essere come Dio attraverso le cose, la potenza, il denaro.

Il testo di Genesi ci presenta Dio che parla a voce alta: “Essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua: questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto hanno in progetto di fare non sarà loro impossibile” (11,6).

Si sta ripentendo ciò che è avvenuto in principio con Adamo ed Eva: Gen 3,22 “Dio disse: Ecco l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!”

Dio non è invidioso dell’uomo: Dio vuole salvaguardare la genuinità della relazione dell’uomo con Dio: Dio è Dio, l’uomo è sempre e rimane creatura difronte al creatore. Ma vuole anche salvaguardare la relazione dell’uomo con l’uomo.

L’immagine che Genesi fornisce è quella di Dio che “scende” e “confonde” la lingua degli uomini” perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro (11,7) secondo lo stesso schema che troviamo in Gen 3,23 “Il Signore Dio scacciò (l’uomo) dal giardino di Eden”.

“Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città” (11,8).

Non è che Dio si metta a fare dispetto all’uomo; bensì è l’uomo che tagliando il fluire della vita dalla sua sorgente, impedisce lo scorrere delle acque, provocando l’“impaludamento” di tutto. “Si cessa di costruire” e si comincia a distruggere ciò che di buono era stato costruito fino a quel momento.

Babele è dunque la confusione della lingua e la dispersione del popolo su tutta la terra.

Che cosa è che genera Babele? Quale è la sua natura?

Il testo di Genesi 11 suggerisce che l’origine di Babele, e cioè origine della frantumazione dei rapporti e della confusione delle relazioni interpersonali e sociali, sta prima di tutto nella pretesa di raggiungere il cielo, cioè di farsi come Dio, con la volontà di affrancarsi da ogni dipendenza proprio da Dio, quasi che ciascuno avesse potuto o potesse “farsi”, costruirsi da solo. Tale pretesa di affrancamento riguarda anche i rapporti interpersonali e sociali.

Il libro della Sapienza dice: “Quando i popoli furono confusi, unanimi nella loro malvagità, (la sapienza di Dio) riconobbe il Giusto, lo conservò senza macchia davanti a Dio e lo mantenne forte nonostante la sua tenerezza per il figlio”. (Sap 10,5)

Il Giusto di cui parla il libro della Sapienza è Abramo, che Dio chiama ad uscire dalla sua terra (da Babele) per andare verso un paese sconosciuto in cui Dio realizzerà la promessa di una novità a tutto tondo: un nuovo popolo costituito intorno a Dio, grazie alla fede in Dio che poi si dichiarerà come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe.

Il cammino di questo popolo sarà lungo e accidentato. A momenti potrà sembrare solo una utopia irrealizzabile. Però il cammino non si ferma anche se l’identità di questo popolo avrà bisogno di purificarsi perché si capisse che esso non era come tutti gli altri popoli e che il suo principio di unità non stava nella sua organizzazione sociale e politica.

Sarà Gesù ad annunciare in maniera nuova quali avrebbero dovuto essere le relazioni interpersonali e comunitarie, e quali gli atteggiamenti esterni e i principi interni, grazie ai quali sarebbe stato possibile, realizzare incontro, relazione, fraternità e comunione.

Nel Vangelo di Giovanni, proprio Caifa, uno dei principali responsabili della passione e morte di Cristo, con una espressione che l’evangelista definisce profetica, in quanto pronunciata come sommo sacerdote, profetizzò che “Gesù doveva morire per la nazione, e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52).

Ancora più chiare sono le parole pronunciate da Gesù nel Vg di Giovanni 10,16: “Do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”.

È dunque Gesù che unisce tutti in sé, tanto che Paolo dirà: “Tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco: non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa”. (Gal 3,26-29)

Di fatto, questa unità realizzata da Cristo, ha sempre bisogno di essere rinnovata, rafforzata, fecondata. Questo compito è affidato allo Spirito Santo.

Ecco l’esperienza dell’anti-babele che è la Pentecoste (Atti 2,5-12). 

Dagli Atti degli Apostoli 2,1-13

1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». 12Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: «Che cosa significa questo?». 13Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce».

A Babele dei nomadi diventano stanziali e radicandosi nell’orgoglio del loro voler essere come Dio, raggiungendo il cielo con la torre, si dividono, si si separano, si contrappongono; a Gerusalemme, dove “abitavano” Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo, la Pentecoste, nel rispetto della lingua di ciascuno, permette diche tutti si intendano tra loro; si capiscano; di ascoltino; ritrovino l’unità smarrita da lunghi secoli. (15 lingue e universalità).

Si tratta dell’unità realizzata dall’unico Spirito di Dio; lo Spirito Santo Paraclito, Spirito di verità e di Amore. Nel libro degli Atti si ripete la costatazione che tutti quanti “erano stupiti, e fuori di sé per la meraviglia (…) Come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? (…) “Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: che cosa significa questo?”.

Anche noi, stasera, vogliamo chiederci: “Come mai?” ci si può capire anche parlando lingue diverse? Che cosa significa, quale senso ha, il capirsi nonostante le numerose differenze che ci contraddistinguono? Che cosa costruisce l’unità e permette relazioni e legami di fraternità, nonostante le diversità che rischiano sempre di fare sorgere sospetti reciproci, prese di distanza, contrapposizioni?

Tutti voi siete uno in Cristo Gesù” scrive S. Paolo ai Galati che vivevano esperienze di separazione di mancanza di fraternità.

È interessante notare che S: paolo, utilizzando l’immagine evangelica che “dai frutti si riconosce la qualità dell’albero” (cfr. Mt 7,17; Lc 6,43), indica ai Galati quale è il “frutto” dello Spirito, dopo aver elencato e opere della carne (Nota bene: opere/plurale; frutto/singolare). “Sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatri, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (14 ss).

Poi parla di “frutto dello Spirito” che “è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (9). (Gal 5,19-22).

Perché “opere della carne e invece “frutto dello Spirito?” La “carne” intesa come concupiscenza/opposizione a Dio, frantuma l’unità della persona in sé, nei suoi rapporti con prossimo, perché manca la relazione con Dio che unifica tutto.

Lo Spirito ha “un frutto” perché ciò che produce è unità con Dio, e un dono non è mai in contrapposizione con altri doni; bensì l’uno esalta e completa e rilancia l’altro verso la piena conformazione a Cristo.

Detto in altre parole: ciò che viene da Dio, pur molteplice e pur diversificato è “armonico”; ciò che viene dall’istinto della superbia umana, non si raccorda con il resto ed è “cacofonico”, confusionario, contraddittorio, perché privo del proprio centro di unità.

Ciò vale sia a livello personale, sia a livello comunitario. 

Come avviene in natura, anche nella vita di relazione c’è bisogno di riconoscere e di rispettare ciò che potremmo chiamare “legge di gravitazione universale”. Ciò che è fuori equilibrio, irrimediabilmente, è destinato a franare, a dissolversi, a creare lutto e dolore.

Nella visione Cristiana, il centro di gravitazione è Dio; è il suo mistero d’amore.

È per questo che la lettera agli Ebrei utilizza una immagine ardita applicandola alla speranza: l’àncora della nave, per stare alla fonda, cala in mare le ancore, che in qualche modo bloccano quelle oscillazioni che derivano dal movimento delle acque del mare. Per il cristiano, la sua àncora è la speranza, che invece di essere gettata in basso, viene gettata in alto: il cristiano è chiamato “ad afferrarsi saldamente alla speranza che ci è posta davanti. In essa noi abbiamo come un’àncora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fino nell’interno del velo del Santuario (il cielo), dove Gesù è entrato per sempre alla maniera di Melchisedek”. (Eb 6,18-20)

Il cielo, la relazione on Dio, la partecipazione alla sua vita, la comunione con lui, è principio e sorgente, garanzia del nostro rimanere saldi, in piena armonia ora, in attesa che questa armoniosa composizione di ogni realtà nella pienezza della vita divina, si realizzi nel Regno di Dio, verso il quale siamo in cammino: la nuova Gerusalemme celeste nella quale, intorno al trono di Dio e all’Agnello immolato e risorto, tutto esprime coralità d’amore. Ed è con questa immagine dell’Apocalisse che possiamo cogliere in tutta la sua pienezza, il punto di arrivo, di confluenza, di ogni nostra relazione di fraternità: “Dopo queste cose vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: la salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono e all’Agnello” (Ap 7,9-10)

Domande

  • L’autoreferenzialità, la superbia e la presunzione non sono mai a servizio della vita ma sviluppano sempre rigidità e chiusura: quali passi di vita sento possibili per costruire fraternità attorno a me?
  • Il tentativo degli uomini che hanno costruito la torre di Babele, è stato quello di allontanare Dio dalla loro vita, mentre gli uomini riuniti nel giorno di Pentecoste, hanno messo Dio al centro e, benché provenissero tutti da paesi diversi, hanno iniziato a intendersi perché parlavano la stessa lingua: la lingua dell’Amore. Porto alla memoria una frase della Parola di Dio oppure una parola umana che mi ha aiutato in un momento difficile della vita.
  • Le diversità che vengono da Dio sono frutto dello Spirito e aiutano a guardare la realtà con sfumature e prospettive diverse: quali doni sento di poter mettere a servizio della comunità verso chi è più in difficoltà? 
  • Parlare delle grandi opere di Dio, in un tempo così incerto, richiede coraggio e creatività: quali luoghi hanno bisogno di essere raggiunti dal Vangelo? Come?
  • Dobbiamo aspettare solo la nuova Gerusalemme celeste per vivere e gioire per l’esperienza di relazioni e di legami di fraternità, o tutto questo è già possibile sperimentarlo anche ora, sia pure in maniera ancora imperfetta?
  • Dove sto gettando l’àncora della mia vita, per trovare quella solidità di cui ciascuno senta di avere bisogno?
  • Quale linguaggio parlare per comprendersi reciprocamente e tendere insieme verso la pienezza dell’unità?